L'anagrafe dice Gianluca Cotza, nato nel remoto Novembre 1967 in terra piemontese da genitori sardi, emigrati dal basso Sulcis, ma da molti anni ormai sono per tutti "il quintomoro", o spesso anche solamente "Quinto".
Sono cresciuto tra Riva presso Chieri, ridente paesino rurale a circa 25 km dal capoluogo piemontese, e Collegno, città di 50mila anime alle porte di Torino, dove vivo ancora oggi.
Da sempre appassionato di tecnologia, elettronica etc, sono diplomato Tecnico elettronico.
Figlio maggiore di tre (ho due sorelle più piccole, entrambe brave cantanti e ballerine), babbo panettiere e mamma idem, inizio la mia carriera lavorativa nel panificio di famiglia, ma una fastidiosissima e pericolosa allergia alla farina mi costringe ad abbandonare presto "l'arte bianca".
Attualmente, per "sopravvivere" (e non è un'esagerazione!), faccio il manutentore di macchine automatiche in una grande multinazionale americana: non è certo l'impiego della mia vita ma, almeno per il momento, mi permette di tirare avanti.
A caratterizzare la mia infanzia e l’adolescenza sono state soprattutto le lunghissime, calde estati trascorse nella casa di mia nonna paterna, a San Giovanni Suergiu, un piccolo centro a pochi km dalla costa sud occidentale sarda, nei pressi dell’isola di Sant’Antioco.
Quelle estati hanno forgiato il mio carattere ed esaltato al massimo il mio amore per l’isola, la mia “Sardità”.
Quante storie ho sentito raccontare, rapito, da “is beccius de su bixinau” (gli anziani del vicinato), seduti in cerchio sulle sedie dal fondo di paglia, ai bordi della strada ancora non asfaltata, fino a tarda notte a raccontare “is contus” (racconti), leggende, esperienze vissute o soltanto sentite dire.
Qualche volta finiva anche a stornelli, “Muttettus”, con il mandolino o la chitarra di signor Eligio, ed erano sempre grandi risate, e momenti di ineffabile serenità.
Spesso mi addormentavo sulle gambe di "tiu" Paolinu Ladu, all'epoca il più anziano del vicinato, fantasticando sulle leggende de is "crixoxius" (tesori nascosti di grande valore che venivano svelati in sogno), accarezzato dalla lieve brezza satura di salsedine, di mirto, lentischio, tiglio, magiche alchimie di odori e colori inconfondibili ed introvabili altrove, tra caldo e zanzare, il vocìo di altri bambini che "qualche casa più in là" giocavano scalzi a nascondino, e qualche temutissimo "pistilloni" (geco), che passeggiava noncurante sui muri delle case, come noncuranti erano le miriadi di pipistrelli che danzavano intorno ai lampioni...
Il mare (lo raggiungevamo in pullman, autostop o addirittura in "littorina"), le feste di paese, l’adolescenza, gli amici, le prime sbornie, le ragazzine...tutto questo ha contribuito molto a stimolare, anzi letteralmente a scatenare, la mia immensa passione per la Sardegna e tutto ciò che ne concerne: storia, cultura, tradizioni ma, soprattutto, musica e lingua.
E la mia "sardità" non cessava di crescere esponenzialmente, di giorno in giorno: imparo così la “Limba”, anche e soprattutto nella variante Logudorese, molto diversa da quella Campidanese che sin da piccolo avevo sentito parlare nel Sulcis ed in casa.
Ho ascoltato, da sempre, ogni variante possibile della musica sarda, e della musica “in sardo” (un pezzo rockeggiante ma col testo sardo non si può certo definire “musica sarda”, ma “musica in sardo”, appunto).
La mia passione per la musica e per le canzoni sarde è dovuta anche all'altra mia nonna, quella materna, Maria: era una vera appassionata, ascoltatrice assidua di alcuni programmi di musica sarda trasmessi da emittenti private di Torino, tra cui un primitivo "Sardegna Canta" su Radio Centro 95 (una delle più importanti della città) in cui lavorai anch'io, diciassettenne, nel 1985.
"Tzia Maria" (così, in famiglia, chiamavamo la nonnina "musicomane", a cui dedicai anche una canzone in occasione della sua scomparsa, nel 1998) era un serbatoio inesauribile di dischi e cassette che regolarmente saccheggiavo e duplicavo, è stata una vera "fonte provvidenziale" per la mia insaziabile, giovanile sete di cose nuove e , soprattutto, SARDE!
Qualsiasi cosa: dai canti tradizionali campidanesi ai tenores barbaricini, dalla divertente demenzialità dei vari Benito Urgu, Lucio Salis, Banda Beni, Amakiaus, alle canzoni di protesta di Franco Madau, alla poesia in limba di Piero Marras e Tazenda (quelli che più di ogni altro mi hanno influenzato e stimolato), ai Bertas; o la magica atmosfera sarda che sa infondere la musica dei Cordas et Cannas; le leggende splendidamente vocalizzate dai bravissimi Janas; le melodie allegre e festose dei nuoresi Raimy …
Così, dopo tanto ascoltare, inizio a scrivere testi e comporre canzoni, buona parte di esse proprio in Limba.
Ma, a tutt'oggi, e credo sinceramente che lo sarà per sempre, "la canzone più bella che ho scritto"...è alta un metro e venticinque, e si intitola "Fabio" ! (continua...)
TORNA SU
QUINTOMORO...PERCHE'? . .........QUINTOMORO...COS'HA FATTO?